La più grande influenza sul presente è data dal passato, ma spesso ci si dimentica quanto il futuro eserciti potere sui tempi che corrono. Siamo bersagliati da ricerche finanziarie in prospettiva, analisi di mercato, campagne di marketing e tutto ciò deve la propria riuscita a una corretta previsione degli investimenti, delle mode e dei gusti futuri. Nel mezzo ci siamo noi, i consumatori, gli utilizzatori finali di prodotti utili e/o superflui, alla perenne ricerca dell’articolo appena venuto alla luce. Le nostre liste della spesa vengono aggiornate con pignoleria, straripando di gingilli futuristici, uguali a loro stessi, simili tra loro, ma irrimediabilmente irrinunciabili. I nostri desideri si archiviano come pratiche d’ufficio, quasi senza passione, e si focalizzano su tutto quel che permette di proiettare la nostra vita in giorni che forse non arriveremo neanche a vivere. Curiosi di novità o drogati di consumismo, diamo esempio ai bambini la cui mente è paragonabile a una spugna appena sbollata.
È inutile perdersi nelle solite frasi fatte: i bambini di oggi sono più pratici e smaliziati dei loro genitori, figurarsi dei loro nonni.
“Alla sua età, io non sapevo scrivere”.
“Ai miei tempi, facevamo merenda con pane e burro”.
“Noi eravamo meno svegli, ma ci divertivamo di più”.
Quante volte è capitato di imbattersi in commenti simili? Di certo più di una. Le generazioni si susseguono con tempistiche più stirate, complice la crisi finanziaria (che allontana sempre più la prima e spesso unica gravidanza) e la voglia di realizzazione professionale e personale dei futuri genitori: ciò incide sulla capacità di capire le esigenze e le posizioni dell’una o dell’altra parte. Cosa c’è di diverso tra l’infanzia di un trentenne e l’infanzia di un bambino di oggi? Cosa rende il primo più nostalgico dei tempi andati e il secondo più disincantato e pronto alla vita? Tenendo conto dei pro e dei contro della fanciullezza di entrambi, la risposta universale è la stessa: la presenza (o l’assenza) della tecnologia. Oggi come allora, ogni bambino spera di intravedere il proprio desiderio sotto la carta natalizia o nella busta glitterata augurante buon compleanno. Tutto cambia affinché nulla cambi? Ideologicamente sì, ma di fatto no. Spesso, in quel pacchetti costosi e leggeri ci sono smartphone, tablet, console, lettori mp3 e qualsiasi gingillo con ricarica usb. Qualche anno fa, invece, c’erano mattoncini Lego, Barbie, Micro Machine e Monopoli.
Sia chiaro: non c’è intenzione di affrontare l’argomento con nostalgia e critica, rivangando il passato e demonizzando il presente/futuro.
Malgrado le notizie contrastanti, i dati di fatto mostrano l’evoluzione dei desideri dei bambini e come tutto ciò stia cambiando il mercato dedicato all’infanzia.
La scorsa settimana, Toys “R” Us, colosso americano del giocattolo, ha dichiarato bancarotta* con circa 400 milioni di dollari di debito. La catena di negozi Usa era arrivata ad acquisire la sua diretta rivale (FAO Schwarz) nel 2006 e contava 875 punti vendita sul territorio americano, 600 nel mondo e più di 140 sedi in franchising in 35 paesi/giurisdizioni diverse. La spiegazione primaria, quella giunta a tempo record, riguardava la fortissima concorrenza subìta dai siti di e-commerce come Amazon, ma è la tecnologia nella sua più forma completa ad aver determinato la vera capitolazione del gigante Toys “R” Us. Infatti, non è solo la vendita online ad essersi sostituita al negozio, ma anche i prodotti informatici sono subentrati ai giocattoli tradizionali. Sempre più bambini scelgono uno smartphone anziché un modellino Ferrari, sempre più bambine vogliono il tablet anziché una Barbie.
È proprio Barbie a rappresentare a pieno il declino della vecchia generazione di giocattoli, annaspando da un decennio tra idee brillanti, operazioni nostalgia e cambi al vertice.
Harold ‘Matt’ Matson e Elliot Handler fondarono la Mattel nel 1945, giocando con le iniziali dei loro nomi (Matt+El). L’azienda produceva cornici e raramente, si occupava di accessori in miniatura per le case delle bambole.
Durante un viaggio in Europa, Ruth Handler (moglie di Elliot) si imbatté in una curiosa miniatura di donna, una bambola per adulti di nome ‘Bild Lilli’. La Lilli veniva venduta come giocattolo erotico, demonizzata dalla stessa popolazione tedesca che le aveva dato vita e bistrattata al punto di essere commercializzata solo nelle tabaccherie di periferia. La signora Handler ne acquistò una e la portò con sé negli Stati Uniti, dove progettò e realizzò il primo giocattolo alternativo al bambolotto. La condizione femminile dell’epoca voleva una donna massaia e felice, esperta di biscotti e sempre ben vestita, ottima madre e buona moglie e perciò, i giochi per le bambine erano spesso bambole da accudire, utensili da cucina, accessori per il cucito o per la pulizia della casa. Ancora oggi, sugli scaffali dei discount più abbietti, è possibile trovare qualche orrida riproduzione in miniatura di scopa e aspirapolvere rosa, ma speriamo si tratti degli ultimi sprazzi di follia.
La signora Handler vide in Lilli la possibilità di creare un giocattolo indipendente, intelligente, socialmente impegnato e allo stesso tempo, dalle premesse strabilianti.
Ispirandosi ai giochi della figlia Barbara, che dava delle identità adulte ai propri personaggi di carta, la Handler creò Barbie: una bambola dalle sembianze umane, adulta, emancipata, libera dai preconcetti e dalla visione che la società aveva di tutte le donne. Nel 1959, Barbie debuttò nella sua versione più semplice e originale: capelli neri, fisico da pin-up e costume zebrato. Dopo un anno, l’innovativo prodotto Mattel aveva venduto circa 350 mila pezzi.
Inutile dilungarsi su ciò che avvenne dopo. Barbie divenne il giocattolo più venduto al mondo e forse, il più conosciuto della storia moderna.
Divenuta ufficialmente bionda, la bambola Mattel venne raggiunta da numerosi amici nel corso degli anni, tutti pronti a interagire nel suo universo di fantasia e a invadere gli scaffali dei supermercati: tra i più famosi ricordiamo il perenne fidanzato Ken, la migliore amica Midge e la sorellina Skipper.
Con il tempo, Barbie assunse fisionomie diverse e progredì nel volto e nel corpo, accostando le proprie forme alle fattezze delle donne reali. Questo procurò a Mattel non poche grane e nel corso degli anni, gli Handler (ormai esclusivi proprietari del marchio) furono costretti a difendere le intenzioni del prodotto dalle accuse di istigazione all’anoressia, di femminismo e di superficialità eccessiva del personaggio di Barbie.
Eppure, si parlava di una bambola e non di uno strumento educativo.
Mattel tenne duro, arrivando alle soglie del nuovo millennio senza avere rivali.
La casa di produzione giunse addirittura alla creazione del Barbie Collector Club, un progetto esclusivo che ancora oggi offre l’eccellenza ai tantissimi collezionisti sparsi in tutto il mondo. Negli anni, Barbie divenne un’icona di stile e ciò portò a collaborazioni importanti e durature, come quella con il celebre stilista Bob Mackie (conosciuto per i costumi della cantante Cher) e con molti altri designers di fama internazionali: Versace, Armani, Givenchy, Moschino, Coach, Christian Louboutin, Oscar de la Renta, Byron Lars, Monique Lhuillier, Carolina Herrera e Vera Wang. Inoltre, la bambola Mattel incarnò personaggi sia di fantasia che reali, quali Audrey Hepburn, Marilyn Monroe, Grace Kelly, Frank Sinatra, Elvis, Cher, Jennifer Lopez e Wonder Woman, SuperGirl, La Gioconda, Athena, Medusa, Aprhodite e Cleopatra.
Purtroppo, il tempo passa e il 1959 è sempre più lontano.
Barbie entrò in crisi la prima volta nel 2001, con la nascita delle accattivanti Bratz della MGA Entertainment: look da adolescente alla moda, labbra gonfie e strizzatina d’occhio alle novelle stars come Britney Spears e Christina Aguilera. I prodotti MGA conquistarono talmente tanto mercato da mettere in seria difficoltà Mattel, che si vide costretta a denunciare l’opera di plagio subita da un ex dipendente poi emigrato alla concorrenza.
Tutt’oggi, la verità è ancora da accertare: nel 2008, la corte americana dichiarò che le Bratz furono frutto della copia del progetto My Scene, lanciato da Mattel nel tardo 2001, ma la sentenza venne completamente rigettata in appello nel 2010.
Dopo la querelle con MGA e la negata esclusività nell’ambito delle fashion dolls, a Barbie e alle sue vendite si contrappongono le italianissime Winx di Iginio Straffi. Nate nel 2004 dall’omonimo cartone animato, le fate della scuola di magia di Alfea conquistarono le bambine di tutto il mondo e decretarono la fine delle bambole non supportate da show televisivi. Le Winx erano presenti in tv, su internet, nei fumetti e finirono perfino negli Happy Meal di McDonald’s!
La crisi era ormai iniziata in casa Mattel e da quel momento, non è mai finita. La tv e internet alternarono i personaggi di riferimento delle ragazzine di mezzo mondo e con il tempo si successero le protagoniste canterine de ‘Il mondo di Patty’, ‘Grachi’, ‘Violetta’, i fenomeni Disney di ‘High School Musical’, ‘Victorious’, ‘Camp Rock’, ‘Hanna Montana’ e per finire l’onnipresente (e ormai irritante) ‘Frozen – Il regno del Ghiaccio’. Nel 2015, proprio a ridosso del grande successo di Anna e Elsa, Mattel si lascia sfuggire l’esclusiva contrattuale con il colosso Disney e questo passa ad Hasbro, che farà delle ‘Principesse Disney’ una delle sue linee di maggior successo.
Ormai orfana di Ruth ed Elliot Handler, Mattel cercò di stare al passo con l’intelligente progetto ‘Monster High’ (linea di bambole ispirata ai mostri horror di inizio secolo) e grazie al supporto della serie omonima lanciata su YouTube, si tiene a galla per qualche altro anno ancora.
Oggi, nel 2017, Mattel punta a recuperare il terreno perso e lo fa attraverso le idee, come all’origine del fenomeno Barbie.
La linea ‘Barbie Fashionistas 2016’ punta sulla forza della diversità, introducendo quattro tipi di silhouette, sette incarnati, ventidue colori di occhi, ventiquattro acconciature e tantissimi stampi facciali (chiamati in gergo ‘face molds’). Asiatiche, afroamericane, caucasiche, bionde, rosse, brune, alte, basse, curvy e slanciate, le nuove Barbie sono esattamente come le bambine che ci giocano.
E… se le bambine preferissero uno smartphone, cosa ne sarebbe di Barbie?**
*Investireoggi: Il giocattolo s’è rotto
**Madison.com: Mattel stock hasn’t been this cheap since the financial crisis